Scuola e inclusione

Gli anni che abbiamo alle spalle, che di fatto sono due anni solari ma tre anni scolastici, non sono stati anni banali.

Ce li porteremo dietro non solo in ambito scolastico educativo in generale, ma complessivamente, per molto molto tempo.

Penso che, anche dal punto di vista dei nostri comportamenti, i cambiamenti saranno sensibili ed evidenti e non sarà facile, sebbene questo sia l’auspicio di tutti, ritornare ad un “prima”.

Fermo restando che “il prima”, potrebbe essere visto anche meglio dopo il Covid.

Anzi, dovrebbe essere la sfida di noi tutti tornare ad una normalità migliore della situazione precedente.

Penso però che non ne siamo ancora così consapevoli.

Abbiamo cercato, ed è normale che sia così (fa parte del nostro spirito di adattamento), di superare le crisi, di trovare soluzioni anche “in progress”.

Ma temo che non facciamo abbastanza riflessioni su quello che è stato.

Sul tema complessivo dell’ inclusione e della scuola inclusiva, dopo il covid, sono emerse ancora più chiaramente le molte crepe del sistema.

Se parliamo di una scuola inclusiva dovremmo parlare di una scuola preconizzata già negli anni 70 e che noi in Italia abbiamo provato a costruire.


“Quello che vogliamo è vedere il ragazzo alla ricerca della conoscenza, e non la conoscenza alla ricerca del ragazzo”

George Bernard Shaw

Ed è davvero una costruzione continua…

Un asset che va costruito costantemente e che non deve coinvolgere soltanto i ragazzi e le ragazze con disabilità.

Noi, quando parliamo dell’inclusione, pensiamo logicamente, immediatamente, a questa platea.

Una platea numerosa, significativa, enorme, di ragazze e ragazzi che frequentano la scuola.

Ma in realtà dovremmo immaginarci l’inclusività come il motore di tutto il sistema educativo !

Un sistema dove abbiamo ragazzi e ragazze che non hanno una specifica disabilità ma che hanno una serie di circostanze per le quali l’apprendimento può risultare più difficile.

Inclusione

Altri che hanno condizioni e attitudini particolari per cui l’apprendimento è molto più veloce e in un contesto molto orientato a certi tipi di didattica si annoiano.

E poi.. dovremmo pensare al discorso inclusività anche nei confronti dei lavoratori della scuola che siano docenti, personale tecnico, personale Ata.

Insomma dopo il Covid ancora di più dovremmo misurare quanto bene si sta nella scuola.

Un discorso che in definitiva può sembrare banale, ma che invece penso che sia un ragionamento da fare seriamente. Quanto e dico quanto, chi ha responsabilità di governo e di questa grande infrastruttura di Paese, lavora perché si stia bene a scuola?

Se si sta bene a scuola si lavora meglio, si apprende meglio e forse anche il paese sta meglio.

Noi abbiamo alle spalle leggi molto importanti che ci hanno resi leader… apprezzati, osservati, studiati.

Abbiamo anche raggiunto livelli apprezzabili di integrazione che oggi ha assunto un concetto più ampio di inclusione.

Livelli importanti per centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze.

Adesso però, penso che una delle prime cose da fare, a COVID non ancora concluso è quello di avviare una grande indagine su: “a che punto sta l’inclusione?”

E tutto questo a quattro decenni dalle leggi più significative e a più di 11 anni dall’ultimo rapporto che era stato avviato nel 2011 dalla Caritas.

Questo per valutare, per vedere per esempio, se gli elementi di criticità rilevati all’epoca sono ancora tali.

Naturalmente, se così fosse, questo imporrebbe alla politica di fare una valutazione su quelle che sono le “incrostazioni” di sistema e non i problemi congiunturali e occasionali e provare ad individuarne una soluzione perché sia davvero una scuola sempre più inclusiva.

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